Quando ero piccola, poiché mia madre lavorava molto e di mio padre non ho mai saputo nulla, passavo il tempo in cui non ero a scuola con la nonna, la madre di mia madre. Avevamo un rapporto speciale noi tre, le uniche persone appartenenti al nostro piccolo nucleo familiare (non avevo altri nonni, nè zii o cugini), donne forti ed indipendenti, ma soprattutto felici nel nostro piccolo mondo fatto di cose semplici, ma belle. Vivevamo tutte e tre sotto lo stesso tetto, in una vecchia casa di campagna che apparteneva alla famiglia di mia nonna da generazioni, con un fienile accanto dove tenevamo due mucche ed un cavallo, e una piccola casetta per le galline. Dietro casa c’era un bell’orto nel quale mia nonna riusciva a fare crescere qualsiasi cosa e, poco più lontano, avevamo un campo di patate che raccoglievamo con l’aiuto dei vicini. Facevamo, in sostanza, una vita contadina, da piccolo villaggio. Era un paradiso. Per andare a scuola dovevo camminare ogni giorno venti minuti per raggiungere la prima fermata dell’autobus. Alle volte la nonna mi accompagnava, altrimenti era solo Argo, il nostro cane, che faceva la strada con me. Salita sul bus lui se ne andava a zonzo nella zona a fare chissà cosa e, come un soldatino, lo trovavo ad aspettarmi al mio ritorno. 

Con il passare degli anni la nonna iniziò ad avere degli acciacchi ed ecco che un giorno vidi apparire un piccolo contenitore azzurro sul tavolo della cucina. Lo aprii e vi trovai capsule e vitamini di vario colore, divise in piccoli scompartimenti che portavano il nome di ciascun giorno della settimana. La nonna mi spiegò che quelle capsule erano medicine per il suo cuore, che ogni tanto faceva le bizze, e che le doveva prendere tutti i giorni per stare bene. Terrorizzata all’idea di perdere la nonna mi ossessionai con quel suo porta capsule e mi trasformai nella sua infermiera personale, ricordandole ogni giorno cosa prendere e a che ora. La nonna mi lasciò fare perché capì subito cosa mi spingeva a tanto, fastidioso zelo. 

Un giorno, mentre gliele portavo, persi due capsule perché inciampai in una radice e quelle finirono dritte nel torrente. Entrai nel panico, disperata all’idea che la mancata medicazione avrebbe fatto morire la nonna, e sarebbe stata colpa mia. Poco dopo la nonna mi trovò in uno stato pietoso e si mise a ridere quando le spiegai il terribile fatto. Mi spiegò che era un problema facilmente risolvibile in verità e, una volta comprato un nuovo flacone di capsule, le prese come sempre.

A distanza di tanti anni da quel paradisiaco passato, ancora oggi quando vedo quei contenitori di plastica sento un momentaneo salto al cuore, qualcosa che non sono in grado di controllare inconsciamente. Poi penso alla mia amata nonna ed i ricordi si spostano alle nostre passeggiate, ai pranzi, alle mucche, al torrente…